Cos’hanno in comune Alessandro Magno, Google e le signorie rinascimentali?A sorpresa, la risposta è i filosofi.
Immaginare dei filosofi nella Silicon Valley potrebbe far sorridere, eppure Google nel 2014 ha voluto Luciano Floridi, filosofo italiano, tra i membri della commissione per la questione del diritto all’oblio.
Da allora, i filosofi hanno iniziato a popolare sia start-up che realtà consolidate, tanto che è stata istituita la figura di Chief Philosophy Officer.
Gli imprenditori sentono bisogno di figure che li aiutino a comprendere il presente e formare il futuro, che li spingano ad interrogarsi, a chiedersi “Perché devo raggiungere il successo?” prima ancora di “Come raggiungere il successo?”.
La filosofia esecutiva
Da questa inaspettata collaborazione nasce la filosofia esecutiva, che si propone di applicare al business gli insegnamenti delle discipline filosofiche. Le conoscenze umanistiche sono estremamente utili per fare innovazione nel proprio settore: è possibile riconoscere corsi e ricorsi storici, anticipando le tendenze, oltre che disporre di una solida conoscenza della neurologia umana e delle potenzialità del linguaggio.
I filosofi esecutivi, difatti, permettono di incrementare la diffusione del pensiero, ricercando nuovi media: la imprese hanno bisogno di essere ascoltate, mettendo al centro del messaggio le idee e la loro narrazione, anche in una società in cui l’abuso di linguaggio ne ha distrutto il potere creativo.
Questo è il primo esempio di innovazione che è stata introdotta con l’aiuto della filosofia, un ritorno all’oralità come mezzo di diffusione, così diverso dai cinguettii sui social – oggi, innovazione è mettere al centro proprio la voce, con podcast o smart speakers come Amazon Alexa e Google Home.
La filosofia è anche un modo per far fronte al “decentramento” dell’individuo, conseguente allo sviluppo delle IA ed ai progressi in robotica: si stima che entro il 2028 il 50% dei lavori non esisteranno più, lasciandoci con il timore di essere relegati alla periferia del mondo, ma i manager della Silicon Valley hanno capito l’importanza di mettere gli individui al centro dello sviluppo.
Il neo-umanesimo digitale, ovvero la tecnologia al servizio dell’uomo
Sembrerà un avvertimento visto e rivisto in cult come Matrix e Blade Runner, ma interrogarsi è necessario.
Le Scienze Sociali ed Umanistiche sono indispensabili per la creazione di un’etica dell’innovazione: serve acquisire tecnoconsapevolezza, individuare dagli albori le possibili implicazioni di uno sviluppo tecnologico, facendo emergere lati positivi e negativi per anticiparne le conseguenze.
Sono stati creati gruppi di ricerca come HubIT, in cui i ricercatori in ambito sociale ed umanistico affiancano gli sviluppatori di tecnologie digitali in tutti i processi di ricerca e sviluppo, anche dove non è previsto inizialmente un impatto sociale elevato, poiché potrebbe essere celato in aspetti non valutabili inizialmente.
Il principio di responsabilità nella ricerca e nell’innovazione dovrebbe consentire la creazione di una base comune di valori e di esigenze, provenienti dalla società.
Se si pensa agli sviluppi delle Intelligenze Artificiali, ci si rende presto conto di quanto sia pressante ed attuale rivolgere l’attenzione a questo tipo di problematiche.
Mark Cuban: “Tra dieci anni la laurea in filosofia varrà molto di più di una laurea in informatica”
Se addirittura un multimilionario, nonché proprietario dei Dallas Mavericks, propugna l’importanza di una formazione umanistica, si arriva a sostenere che un approccio puramente ingegneristico, tecnologico o economico potrebbero non essere più sufficienti per la sopravvivenza di un’impresa.
La filosofia diviene strumento per lavorare in scenari di difficoltà o di trasformazione; la voce è l’anfiteatro del nostro tempo e coloro che domineranno l’arena del mercato saranno manager armati di pensiero.
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